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2 giugno 23 | Highlights

3 Giugno 2023

2 giugno 23 | Highlights

3 Giugno 2023

La seconda giornata di Festival è iniziata con l’intervento di Giorgio Barba Navaretti nella Common Room del Collegio Carlo Alberto, introdotto dal professor Giuseppe Ottaviano. In che misura la regola della non discriminazione è ancora valida in un mondo sempre più diviso tra paesi amici e nemici?

Giorgio Barba Navaretti: «Il concetto della Most Favoured Nation – Nazione più favorita – parte da un principio di non discriminazione. Già nel medioevo emerse la necessità di un trattamento non discriminatorio nei confronti dei mercanti, soprattutto sulla base della loro nazionalità. E in questo si pretendeva reciprocità. Questo concetto è il benchmark che definisce i vantaggi che un paese deve dare a tutti gli altri».

È possibile parlare di globalizzazione prima del Novecento? E se sì, questa prospettiva che cosa può suggerire all’analisi economica e politica di oggi? Questi solo alcuni degli interrogativi sollevati da Alessandro Vanoli, introdotto da Giulio Silvano, nel suo intervento dal titolo “La globalizzazione prima della globalizzazione” al Museo del Risorgimento.

Alessandro Vanoli: «Parlare di global history significa dire che la storia deve guardare alle connessioni globali ma senza partire dal presupposto che alcuni punti di connessione debbano avere più importanza degli altri. Sarà la ricerca a dimostrarlo».

In che modo la globalizzazione è stata utile allo Stato e corrispondente all’interesse nazionale? Al Teatro Carignano ne ha parlato Sabino Cassese, con l’introduzione di Carmine Festa.

Sabino Cassese: «Siamo in un sistema in cui Stato e Globalizzazione procedono insieme avvantaggiandosi a vicenda, però esistono delle tensioni che stanno creando delle crisi fondamentali. Ad esempio, l’Onu è stato creato per mantenere la pace, ma senza riuscirci».
Così continua il professor Cassese: «Tutta la cultura mondiale sui controlli dice le seguenti cose. Primo: che i controlli non possono essere fatti a tappeto, ma debbono essere fatti per campione. Secondo: che i controlli non possono essere fatti sulla carta – controlli cartolari – ma devono essere fatti mediante ispezioni in profondità sull’attività da controllare. Terzo: che i controlli devono essere non di processo, ma di prodotto. Cioè non bisogna controllare come si è fatta una cosa, ma controllare il risultato di quell’azione. Come conseguenza il Government Accountability Office, che è l’equivalente statunitense della Corte dei conti controlla a campione, fa pochi controlli estremamente approfonditi, non ha alcuna pretesa di controllare solo le carte, ma vuole controllare più in profondità, e questi controlli li riferisce al Parlamento. I controlli preventivi e concomitanti nel nostro paese sono semplicemente una forma di congestione, un esercizio di potere. Ogni volta che un capo divisione di un Ministero oppure un Direttore Generale di un altro apparato o ancora un Presidente di un ente pubblico deve prendere una decisione deve fare una telefonata per chiamare il controllore e dire “ma tu sei d’accordo se io faccio questo?”. Questa si chiama congestione, si chiama co-amministrazione. E ha due effetti negativi: deresponsabilizza quello che deve essere responsabilizzato e non porta a degli effettivi controlli».
E conclude: «Ha fatto benissimo il governo a resistere a queste tentazioni che si sono manifestate anche in un modo particolarmente singolare. Se voi leggete la nota diffusa alle agenzie dall’associazione dei magistrati e dalla Corte dei conti leggete che la Corte dei conti chiede un tavolo di confronto con il governo sull’adozione di una legge. Tavolo di confronto è l’espressione che adoperano normalmente i sindacati nei confronti dello Stato. Può utilizzare questa espressione quello che è uno dei più grandi corpi dello Stato? Se si accetta questo tipo di terminologia, si finisce per non riconoscere che lo Stato è diventato una specie di aggregazione di corporazioni e di interessi, e che quindi ha perduto qualsiasi capacità decisionale. Io penso che ci siano quindi degli aspetti di merito sui controlli e di metodo sul modo in cui si è svolta questa vicenda che danno completamente ragione al governo e forse bisognerebbe che le grandi corporazioni ripensassero al modo in cui agiscono nei confronti dello Stato di cui loro sono sostanzialmente i rappresentanti».

Negli ultimi anni la globalizzazione, la diffusione delle piattaforme e da ultimo l’inflazione hanno contribuito a cambiare in profondità la realtà del lavoro. Tra le conseguenze, un aumento dei lavori flessibili, crescenti problemi di reddito dei lavoratori e la necessità di una vera integrazione per i lavoratori stranieri. All’Auditorium Vivaldi ne ha discusso il Commissario Europeo per il Lavoro e i Diritti Sociali Nicolas Schmit, in dialogo con Marco Zatterin, nel suo intervento dal titolo “L’Unione Europea di fronte alle sfide dei cambiamenti del lavoro”.

Nicolas Schmit: «Le donne hanno difficoltà ad avere accesso alle stesse possibilità degli uomini. E questo è ingiusto e inaccettabile, ma ci stiamo lavorando. È una perdita per la nostra economia, in un periodo in cui abbiamo carenza di competenze, un mondo in cui le donne hanno una migliore preparazione, ma non accesso al mondo dei lavoro» Sempre Schmit, a proposito della settimana lavorativa di quattro giorni: «Un’ottima idea, ma non sta a me o al governo implementarla: sono le parti sociali a dover decidere. In molte aziende il numero delle assenze è diminuito, e c’è più produttività». Il Commissario ha poi sottolineato la necessità di individuare garanzie e soluzioni ibride per il telelavoro, convinto che saranno le parti sociali a trovare l’equilibrio.

Generazione “zaino in spalla”: come rendere l’Italia più attrattiva per i giovani? Al Museo Egizio Nicolò Andreula, Giudeppe Ippedico e Giulia Pastorella si sono confrontati sulle politiche introdotte negli ultimi anni per rendere l’Italia più attrattiva, favorendo il cosiddetto “rientro dei cervelli”. A coordinare, Nicola Lipari.

Nicolò Andreula: «La realtà spesso va oltre i numeri. Oltre agli incentivi, quello che manca in Italia è anche connessione digitale, infrastrutturale e sociale. Lo smartworking può essere una strada ma dobbiamo facilitare l’aggregazione».

Giuseppe Ippedico: «È importante intervenire sulle cause della fuga dei cervelli. Per esempio, preferendo a un taglio netto degli incentivi dopo cinque anni una loro riduzione graduale».

“Le imprese globali in un mondo che si sta de-globalizzando”: questo il titolo dell’evento curato da “lavoce.info”, coordinato da Paola Pica e introdotto da Fabiano Schivardi. Il nuovo contesto internazionale è caratterizzato da divisione in blocchi e nazionalismi. Quali sono le implicazioni sulle strategie di internazionalizzazione? Accorciamento delle catene di fornitura, reshoring: cosa sta accadendo? In Europa servono “campioni europei” o il blocco occidentale è sufficiente? L’Italia quale ruolo può avere? A discuterne al Collegio Carlo Alberto Silvia Candiani, Gianmarco Ottaviano ed Elena Zambon.

Silvia Candiani: «Oggi l’intelligenza artificiale può aiutarci a calcolare il percorso migliore e ottimizzare i tempi di viaggio delle merci».

Gianmarco Ottaviani: «La globalizzazione intesa come libero-mercato si è interrotta anche a causa di imprese di paesi avanzati che hanno difeso il loro controllo su tecnologie superiori. Penso ad esempio ai semiconduttori prodotti a Taiwan».

Elena Zambon: «La creazione di valore per noi si centra sulla ricerca. Oggi per scoprire una molecola nuova per un farmaco ci vogliono 12 anni e 2,4 miliardi, con fallimenti che possono arrivare anche all’ultimo miglio».

Tra la riscossa “verde”, i nuovi equilibri dei paesi emergenti, la finanza sostenibile e la rivoluzione digitale, stiamo per entrare in una nuova fase della globalizzazione? Ne parlano all’Auditorium San Filippo Neri Enrico Giovannini e Claudia Segre, con il coordinamento di Janina Landau.  

Enrico Giovannini: «Tutti siamo parte di un unico pianeta. Tutti siamo parte della società globalizzata. I conflitti del presente stanno facendo venir meno questa consapevolezza con il rischio di una vera e propria involuzione». E aggiunge: «La popolazione italiana nei prossimi anni calerà a picco. L’immigrazione è l’unica soluzione, non solo per la forza lavoro ma anche per l’innovazione».

La mutualità, l’impact economy e i modelli profit for purpose sono concetti concreti accomunati dall’intenzionalità, dall’intenzione ex ante – cioè – di generare impatti misurabili e positivi: e se la globalizzazione fosse guidata da questi valori? Di questo, al Museo del Risorgimento, hanno discusso Rosemary Addis, Luca Filippone, Sarah Goddard, Giovanna Melandri e Carlo Pavesio, coordinati da Virginia Antonini e Alessandro Cascavilla. L’evento, a cura di Reale Mutua, era intitolato “Mutualità e impact economy come motori valoriali in una globalizzazione sempre più impersonale”.

Marina Lalovic ha moderato l’incontro tra Yuriy Gorodnichenko, Nathalie Tocci e Beatrice Weder Di Mauro. Il tema principale è stato l’Ucraina e il ruolo del conflitto russo-ucraino all’interno dell’Europa.

Nathalie Tocci: «Difficile immaginare che la Russia conquisti ulteriore territorio ma non sappiamo quanto terreno l’Ucraina riuscirà a liberare. Il punto è che è quasi impossibile che a queste controffensive ucraine segua un accordo. Quindi rischiamo di ritrovarci in un regime di “non pace protratta” per sei mesi o forse sei anni.
Temo che la scissione che avverrà sarà fra Stati Uniti ed Europa occidentale. Gli USA frenano sull’adesione dell’Ucraina alla NATO mentre Francia e probabilmente Germania sono o saranno sempre più favorevoli perché è una garanzia fondamentale per il settore privato per investire e finanziare la ricostruzione. Ci si sta rendendo conto che non esistono stati cuscinetto ma solo stati di frontiera e bisogna scegliere da che parte stare. Allo stesso modo, ci si sta rendendo conto che l’allargamento è una necessità strategica, sia economica che per questioni di sicurezza».

Yuriy Gorodnichenko: «La dimensione della devastazione russa in Ucraina è immensa, ma c’è speranza: si veda ad esempio il numero di nuove imprese registrate durante la guerra».

Beatrice Weder Di Mauro: «Finora ci sono state molte promesse di supporto finanziario all’Ucraina. Gli USA sono i maggiori supporter, ma ci vogliono dei cambiamenti: ci vogliono sovvenzioni e non prestiti, o il debito diverrà insostenibile. Bisogna coordinarsi, non competere. Abbiamo bisogno di un’agenzia che sia in controllo di tutte le operazioni di ricostruzione e di allineamento rispetto all’eventuale accesso all’UE».

«Quello che ho cercato di fare in questo libro è mettere ordine tra tutti gli attori coinvolti nel mondo del calcio in un’ottica di globalizzazione, dove interessi economici e soft power si intrecciano continuamente»: così Andrea Goldstein durante la presentazione al Circolo dei Lettori del suo libro, “Il Potere del Pallone. Economia e Politica del calcio globale” (Il Mulino, 2022), in dialogo con Lorenzo Casini ed Eva Giovannini.

Nella cornice dell’Auditorium del Collegio Carlo Alberto si è tenuto l’incontro tra Roberto Perotti e Alessandra Perrazzelli: a cosa servono le criptovalute e in cosa si differenziano dalle monete digitali? A coordinare il dialogo, Maela Giofrè.

Alessandra Perrazzelli, in merito all’euro digitale: «Presto potremmo pagare con un QrCode: lo smartphone non avrà una carta al suo interno, ma un codice. Avremo monete digitali governate da Banche centrali, quindi stabili e affidabili». E conclude: «Bisogna chiarire che le cripto attività non sono una forma di pagamento. Sono speculazione e, se le cose vanno male, non si possono poi convertire in euro o in dollari».

Roberto Perotti: «La posizione vagamente libertaria di quasi tutti i sostenitori delle criptovalute è ispirata da una visione semplicistica, antiquata e ingenua del ruolo delle banche centrali. I bitcoin come moneta al posto dei dollari o degli euro? Sarebbero la ricetta perfetta per una recessione permanente».

In tutto il mondo si teme che il bilanciamento del potere tra i lavoratori e i loro datori di lavoro si sia spostato verso i datori di lavoro. Anche per questo le nostre economie non riescono più a garantire standard di vita migliori per la maggior parte dei lavoratori. Ma questo non è inevitabile: possiamo cambiare rotta. Questo il tema di “Datori di lavoro e potere di mercato”, l’intervento di Alan Manning, in dialogo con Tito Boeri al Collegio Carlo Alberto.

Alan Manning: «I datori di lavoro stanno attivamente cercando di appropriarsi del capitale umano dei lavoratori in molte aree. Gli economisti fanno uso diffuso dell’idea che se due parti concordano volontariamente un contratto, la presunzione è che entrambi guadagnino. Ma bisogna preoccuparsi per una pratica simile”. Manning ha inoltre sottolineato la necessità di fornire ai lavoratori più informazioni e più opzioni, al fine di rendere più semplice cambiare lavoro».

In che modo la politica monetaria delle banche centrali è efficace nel contrastare l’inflazione? La BCE si è mossa tempestivamente o in ritardo? A queste e molte altre domande hanno risposto Lucrezia Reichlin e Massimo Rostagno nell’incontro moderato da Beniamino Pagliaro nell’Auditorium Vivaldi della Biblioteca Nazionale Universitaria.

Massimo Rostagno: «Il ruolo principale della BCE è controllare le aspettative di inflazione in modo che siano ancorate al proprio obiettivo del 2%, e questo lo si fa con la politica dei tassi. La funzione di reazione ha consigliato il percorso da fare».

Lucrezia Reichlin: «Questo ultimo shock energetico è stato il più grande dal dopoguerra e ha colpito in modo molto diverso gli Stati Uniti, esportatori di energia, rispetto all’Europa, che soprattutto importa energia, con il conseguente impoverimento dei cittadini europei».

Tra le ragioni che spiegano il deludente andamento economico dell’Italia degli ultimi anni si citano spesso scarsa considerazione del merito e incentivi distorti.  “Crescita economica e meritocrazia: l’Italia spreca i suoi talenti?” è quindi il titolo dell’evento a cura dell’Università degli Studi di Torino, con Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli, coordinati da Francesco Serafino Devicienti, al Museo del Risorgimento.

Gli economisti di impresa del GEI si sono confrontati sulle strategie delle imprese italiane ed europee all’interno del contesto geopolitico modificato dal conflitto russo-ucraino. A coordinare l’incontro dentro l’Auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo Massimo Deandreis. Sono intervenuti Innocenzo Cipolletta, Luciano Fratocchi, Alessandra Lanza, Anna Roscio, Emilio Rossi e Alessandra Terzulli.

I trasporti costituiscono un elemento cruciale e problematico di ogni percorso di globalizzazione che sia sostenibile: se ne è discusso all’incontro “I trasporti tra globalizzazione e sostenibilità”, coordinato al Museo del Risorgimento da Paola Pica e introdotto da Andrea Boitani, con interventi di Angela Bergantino, Claudio De Vincenti e Pietro Spirito.

Istruzione e creatività: come stimolare l’innovazione. Questo il tema del dialogo tra Andrea Gavosto e Guido Saracco, moderato da Piero Bianucci. La creatività non si insegna, ma in che modo può essere stimolata attraverso adeguate pedagogie?

Guido Saracco: «Alla crescita della complessità del mondo abbiamo risposto creando ingegneri sempre diversi, ma alla specializzazione adesso preferiamo l’interdisciplinarietà».

Andrea Gavosto: «Sappiamo che esistono delle competenze che probabilmente ci proteggeranno in futuro rispetto all’intelligenza artificiale nel mercato del lavoro. Gli studi ne indicano tre: la capacità di socializzazione, la capacità di prendere decisioni sulla base di poche informazioni, la creatività – comunque la si voglia definire».

All’Auditorium San Filippo Neri Eugenio Barcellona, Maurizio Irrera e Valeria Marcenò hanno discusso del modo in cui si possono regolare le complessità degli interessi economici in un mondo globalizzato.

«Ci sono buone e cattive policy per sostenere le famiglie nei confronti dell’aumento dei prezzi del gas. Per esempio, effettuare trasferimenti di denaro anziché implementare dei sussidi. E farlo sulla base dei consumi storici anziché di quelli attuali». Così Benjamin Moll all’evento introdotto da Giulia Giupponi all’Auditorium del Collegio Carlo Alberto. Il focus dell’intervento è stato sull’uso del taglio del gas come arma da parte della Russia e sul calo dell’attività economica europea. Come stiamo resistendo alla guerra energetica di Putin?

Il China shock: vent’anni dopo l’emergere della Cina come grande potenza economica, il settore manifatturiero americano ed europeo è ancora messo a dura prova? Ne parla, nella Common Room del Collegio Carlo Alberto, David Autor. A introdurlo, Pietro Garibaldi.

David Autor: «Lo shock commerciale cinese ha avuto fasi diverse. La Cina ha costruito rapporti permanenti con gli Stati Uniti, ha aperto i mercati e questo ha fatto in modo che le aziende spostassero le loro attività in Cina. La Cina è passata dal fornire il 2% al 10% dei prodotti negli USA». Poi aggiunge: «Il problema non è il numero di lavoratori e dei posti di lavoro, ma la qualità del lavoro. La popolazione nelle economie avanzate oggi lavora di più rispetto al passato, grazie alla tecnologia che ha reso meno pesante ogni mansione. È la competenza che dà valore al lavoro. Lo shock cinese ha tolto potere ai lavoratori meno qualificati. Diversi studi hanno evidenziato come l’utilizzo di chatGPT aumenti la produzione e la velocità del lavoro svolto, oltre a disincentivare le dimissioni. L’IA può essere complementare all’uomo».

Vito Mancuso fa il tutto esaurito al Teatro Carignano con l’intervento Globalizzazione e religioni, introdotto da Giulio Silvano. Se le religioni monoteiste hanno sempre sognato di globalizzare il mondo, quest’ultimo è stato però globalizzato dall’economia. Qual è dunque adesso il compito delle religioni e, in generale, della spiritualità?

Vito Mancuso: «Una domanda da fare a noi stessi è “cosa è più importante del denaro?”. La risposta è: quello che non può essere acquistato con il denaro. Per esempio, il tempo. Anche se abbiamo milioni la clessidra continuerà a scorrere. Non si può comprare il tempo. L’amore non si può comprare. E nemmeno la capacità di innamorarsi. Nemmeno la propria dignità. La cultura. Se non studi, non hai voglia, non ti impegni non puoi crearti una cultura dal nulla. Anche la stima non può essere comprata con il denaro. La stima è una libera donazione».

«Nel 1992 è stata firmata da tutti i paesi delle Nazioni Unite la Convenzione sul clima, che ha riconosciuto la presenza di una malattia alla quale bisogna trovare una cura. Ma dopo 31 anni non si è ancora fatto abbastanza».  Così il climatologo Luca Mercalli ha messo in guardia gli spettatori del Festival Internazionale dell’Economia di Torino presente nell’Aula Camera Italiana del Museo del Risorgimento. A introdurlo, Chiara Piotto.

Mercalli ha poi aggiunto: «Il miglior viaggio è quello meno inquinante, quindi è quello che non si fa. Nei paesi del nord Europa esiste persino una parola che significa “Vergogna di volare”, che indica il sentire di pesare troppo sul benessere del pianeta. In termini medici: abbiamo già 38 di febbre e rimarremo a 38 anche con una cura d’urto. Stiamo cercando di non arrivare a 42. Ormai la malattia è la norma, stiamo cercando di non renderla grave, ma tollerabile».

Geopolitica e commercio nella storia: ce ne parla all’Auditorium Vivaldi della Biblioteca Nazionale Universitaria Kevin O’Rourke, introdotto da Carlo Cambini.

Kevin O’Rourke: «La guerra può sconvolgere gli equilibri geopolitici e distruggere il commercio. Ma quegli stessi equilibri sono spesso frutto della violenza». E poi aggiunge: «Talvolta il commercio promuove la guerra: se si commercia si diventa dipendenti da altri e di conseguenza più vulnerabili. Quando la guerra diventa possibile le relazioni commerciali possono accelerarla».

Alessandra Colombelli introduce l’evento intitolato Terziarizzazione globale, con Fabrizio Zilibotti, all’Auditorium San Filippo Neri. Di cosa si tratta e cosa comporta questa terziarizzazione per il benessere, le diseguaglianze del mondo postindustriale e il dinamismo tecnologico, soprattutto per i paesi in via di sviluppo?

Fabrizio Zilibotti: «La differenza tra una catena industriale di ieri e di oggi è che alla catena di montaggio ci sono le macchine non più le persone. Il gran numero degli addetti lavora per la produzione di servizi. È il cosiddetto smile effect: la gran parte del valore aggiunto viene da ciò che succede prima e dopo la produzione e non dalla produzione stessa».

Non solo cambiamento climatico, ma anche impatti di natura economici e finanziari. Carlo Carraro e Silvana Dalmazzone si confrontano sulle politiche da coordinare per seguire le modifiche delle rotte commerciali, delle catene di valore e dei flussi di merci e di persone. A coordinare l’incontro, che si è svolo nella Sala Codici del Museo del Risorgimento, Edoardo Vigna.

Carlo Carraro: «Avremmo bisogno di una politica industriale che accompagni le imprese, che colga l’occasione di questi cambiamenti e aiuti la trasformazione. Questo perché in Italia ci sono delle eccellenze in grado di portare a casa grandi risultati».

Silvana Dalmazzone: “Mentre le grandi transizioni del passato (industriale e digitale ad esempio) hanno avuto luogo trainate principalmente da forze di mercato, la transizione energetica ed ecologica in generale è una trasformazione che richiede di essere fatta molto in fretta. Sono dunque convinta che occorra una transizione maggiormente governata rispetto a quanto visto finora. Occorrerebbe, come ha detto Carraro, una visione. Le risorse, senza la visione, non bastano».

Dall’Auditorium del grattacielo di Intesa Sanpaolo Maurizio Assalto introduce Luciano Canfora, che ci racconta delle economie antiche di Sparta, Atene e Roma. Queste civiltà sono infatti legate a doppio filo all’approvvigionamento di manodopera ottenuto brutalmente con la conquista militare.

Luciano Canfora: «La guerra è lo strumento che determina la condizione schiavile e distingue chi sta da una parte e chi dall’altra.  Conosciamo i punti più alti dell’economia a noi nota dell’area ellenistica e romana (i più ricchi e avanzati tecnologicamente) perché le fonti abbondano, ma in che misura hanno dato vita a forme di organizzazione economica simile a quella moderna? Parliamo di una sorta di capitalismo antico». E poi aggiunge: «Lisia in una famosa orazione descrive le fabbriche di armi paterne. Il padre, Cefalo, non produceva armi per l’autoconsumo ma per il mercato, e in un mondo dove la guerra è un fatto così usuale si parla di un mercato immenso. Le fabbriche di proprietà del padre di Demostene invece erano due: una di coltelli e strumenti “pacifici” e l’altra di letti: due merci molto diverse. Demostene descrive la realtà produttiva del padre e sappiamo quanti lavoratori c’erano nelle fabbriche e il loro valore, perché è molto probabile che si trattasse di schiavi. Al proprietario interessava che questi schiavi potessero produrre bene e quindi il loro costo di manodopera era alto».

«Cosa succede se espando il numero di persone ammesse all’università? Il nostro studio vuole capire se con l’espansione dell’istruzione terziaria sia calata l’abilità cognitiva delle persone ammesse e se siano aumentate le possibilità di accesso per le persone con uno svantaggio economico di partenza». Inizia così l’intervento di Andrea Ichino al Museo Egizio, dopo una breve introduzione di Maria Laura Di Tommaso. L’obiettivo è cercare di rispondere a questa domanda: a un’università di massa corrisponde un’università peggiore?

Tito Boeri introduce all’Auditorium del Collegio Carlo Alberto David Card, premio Nobel per l’Economia nel 2021. Tema dell’incontro il futuro del lavoro: smartworking, impatto delle nuove tecnologie, modifiche salariali e quanto spazio effettivo ci sarà per equità e diversità all’interno del mercato. David Card: «Dopo la fine della Grande Recessione gli stipendi di chi guadagnava di più sono scesi, mentre sono saliti per quanti guadagnavano di meno, questo grazie alla tecnologia». E poi aggiunge, relativamente allo smartworking: «Il lavoro da casa permette maggiore concentrazione e un aumento della produttività: si è arrivati al 100% da remoto. Alcuni servizi come l’assistenza clienti hanno funzionato bene anche da remoto».

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