Torino 30 maggio – 2 giugno 2024
Il progresso tecnologico è un ingrediente cruciale della crescita economica. Il suo ruolo è destinato a diventare ancora più importante negli anni a venire: il declino della natalità nelle economie avanzate può, a lungo andare, portare a un peggioramento degli standard di vita oltre che a rendere insostenibili i nostri sistemi di protezione sociale e un sistema sanitario di qualità. Perché ciò non avvenga è necessario raggiungere livelli di produttività sempre più elevati, aumentando il valore aggiunto generato da chi lavora.
Oggi il progresso tecnologico è in gran parte legato alla conoscenza, all’uso delle informazioni per creare valore. Si progredisce usando enormi banche dati e riuscendo a “farle parlare” con algoritmi capaci di elaborare questa enorme base di informazioni. L’intelligenza artificialmente creata con questi algoritmi viene applicata negli ambiti più disparati: dalle diagnosi mediche alla giustizia civile, dal contrasto del crimine alla formazione.
Ogniqualvolta si assiste ad un’accelerazione del progresso tecnologico si teme per le sue conseguenze sul lavoro. Di pessimismo tecnologico è lastricata la storia delle idee. Molte predizioni catastrofiche sulle conseguenze delle nuove tecnologie si sono rivelate infondate. Nonostante la “fine del lavoro” sia stata decretata più e più volte, le economie di tutto il mondo continuano a generare milioni di posti di lavoro e il tasso di occupazione (il rapporto fra occupati e popolazione in età lavorativa) è stato ovunque in crescita nel corso del XX Secolo e lo è ancora all’inizio di questo secolo. Anche se la disoccupazione aumenta negli anni di crisi ed è oggi troppo alta in alcuni paesi, tra cui il nostro, non c’è traccia di una crescita di lungo periodo della disoccupazione.
Ma le nuove frontiere del progresso tecnologico stanno ridefinendo il nostro modo di lavorare molto più che in passato. Le macchine non sono più soltanto in condizione di sostituire l’uomo in attività ripetitive, di routine, ma anche in mansioni e professioni intellettuali. Compiti che un tempo erano appannaggio esclusivo dell’uomo, come scrivere, tradurre, disegnare, possono essere svolti da macchine anziché da persone. E si teme che, anziché essere noi a guidare questi sviluppi e a utilizzarli per elevare la qualità del nostro lavoro, siano gli algoritmi a prendere il sopravvento, a decidere loro per noi in direzioni per noi svantaggiose. Si teme che si arrivi alla creazione di entità super-intelligenti che hanno valori disallineati da quelli degli esseri umani. Delegando le scelte agli algoritmi, si può arrivare a dei risultati socialmente dannosi. Se per un algoritmo diventa ottimale – rispetto all’obiettivo da massimizzare – discriminare o colludere, chi sarà responsabile delle sue scelte?
Oggi Il digitale ha trasformato il modo con cui prenotiamo un aereo, scegliamo un ristorante, guardiamo un film o ascoltiamo la musica. Ha trasformato, il modo con cui ci informiamo, comunichiamo, acquistiamo, troviamo lavoro e incontriamo nuove persone. Tutte queste scelte generano informazioni, ossia conoscenza. Chi controlla e sfrutta queste immense fonti di dati? E a che fine?
Il problema di fondo è governare, anziché subire, il progresso tecnologico e regolamentare l’accesso a questa immensa fonte di dati. Ma come farlo? E hanno i governi la forza necessaria per sottoporre a restrizioni i giganti del web che oggi possiedono le informazioni?
Le economie di scala raggiungibili nei processi basati sull’aggregazione delle informazioni hanno aumentato la concentrazione e il potere economico che da questo ne deriva. Si pensi all’affermazione delle piattaforme che tutti conosciamo – Netflix, Spotify, Booking, Amazon etc. In maniera simile, i social media – Instagram, Facebook, X – hanno reso possibile comunicare a costo zero a miliardi di persone.
La concentrazione, l’esistenza di poche reti dominanti, il fatto di poter fare tutto su una sola piattaforma, facilita la nostra vita. Più scelta, più comodità, più informazioni, a prezzi spesso più bassi. Ma la concentrazione riduce anche la concorrenza e l’innovazione e può lasciare molti indietro. Diminuiscono le startup di imprese innovative. Ci sono persone e imprese in condizioni di svantaggio che rischiano di rimanere ancora più indietro. Alle persone meno giovani e alle aziende meno dinamiche viene chiesto uno sforzo maggiore per rimanere al passo. Oppure pensiamo alle persone o alle aziende che, pur volendolo, non hanno le risorse necessarie per dotarsi di tecnologia all’avanguardia. C’è perciò il rischio che le diseguaglianze nell’accesso e nella capacità d’uso della tecnologia aumentino le tensioni sociali già esistenti. E provochino una ribellione contro il progresso tecnologico del tipo di quella che abbiamo vissuto contro la globalizzazione.
Le piattaforme guadagnano vendendo alle aziende sia spazi pubblicitari sui loro portali, sia parte dell’enorme mole di informazioni raccolte sui comportamenti di chi le utilizza, il che mette gli acquirenti in grado di personalizzare l’offerta. Ma fin dove è lecito l’utilizzo della conoscenza socialmente prodotta? In che misura è possibile esercitare diritti di proprietà su questa? Quali restrizioni occorre imporre per tutelare la privacy?
Sorge inoltre il dubbio sull’origine delle informazioni e sul contenuto generato da macchine, il che può avere implicazioni significative per la fiducia e l’autenticità nell’era digitale. Come posso controllare la veridicità di un testo generato da ChatGPT? Mentre l’economia della conoscenza, l’uso massiccio dell’intelligenza artificiale, può portare ad aumenti di produttività con pochi precedenti nella storia, siamo posti di fronte a questioni economiche, sociali ed etiche del tutto inesplorate. Di questi temi discuteremo a Torino per 4 giorni con le migliori menti che si sono in questi anni dedicate al problema. Molti economisti, ma come sempre anche storici, sociologi, giuristi, studiosi dei media, tecnologi e imprenditori. Con un linguaggio non specialistico, che include anziché escludere come fanno troppo spesso le nuove tecnologie.