Donne e lavoro, l’Europa è lontana
25 Marzo 2025

Non serve essere laureate, brave e attente. Non serve nemmeno lavorare sodo e bene. Perché se si è donne e si è italiane – a parità di professione e incarico – alla fine del mese lo stipendio pesa oltre il 20% in meno di quello percepito da un uomo. Le stime del Consiglio di vigilanza e indirizzo dell’Inps rivelano che in dieci settori economici su diciotto, la manodopera maschile è retribuita un quinto in più, divario che cresce al 35% nelle competenze scientifiche e al 39.9% in quelle immobiliari. “L’occupazione femminile ha raggiunto il livello più alto di sempre” assicura il governo. Statisticamente è vero. Ma la quantità non è qualità, e questo non toglie che il dato italiano sia il più basso fra i ventisette paesi dell’Unione europea. E dunque c’è poco da fare festa.
È vero che le cose vanno meno peggio. L’Italia è però un’economia che tende a soffocare il talento femminile, è la terra dove solo una donna su due ha un impiego e la metà di queste è a tempo parziale. Gli squilibri permangono, sottolinea la sociologa Chiara Saraceno, sebbene “da diversi decenni anche da noi le donne abbiano in media livelli di istruzione più alti degli uomini e tassi di abbandono scolastico precoce più bassi”. Il gap persiste. La diseguaglianza si espande fra donne e uomini, ma anche all’interno del segmento femminile, dove la maternità continua a costituire un vincolo forte alla partecipazione al mercato del lavoro, con un 20% di donne che ogni anno abbandonano il posto per questa ragione.
Il vero dramma è il “Delta di Europa”, ovvero la differenza fra le donne italiane e quelle del resto del continente. Nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile è risultato più basso di 12,6 punti rispetto alla media Ue e alla Francia, e 20 alla Germania, affermandosi come maglia nera tra i ventisette paesi dell’Unione europea e restando lontanissimo dai migliori, come Paesi Bassi (+25,2 punti) e Finlandia (+20,1 punti); in sistemi dalle condizioni sociali simili alle nostre, il divario è inferiore, ma comune considerevole (la Spagna è a +8).
Un rapporto del Cnel di Renato Brunetta ammette che Il 65% degli inattivi nel Mezzogiorno d’Italia sono donne. In totale, nella penisola si arriva a 7,8 milioni, di cui più di un terzo per ragioni familiari: figli o parenti da accudire. Un milione e 300 mila di queste donne vorrebbe lavorare e raggiungere l’autonomia. In 600 mila rinunciano anche solo all’idea. Sono perlopiù giovani e scorate, e il fatto di essere spesso “straniere” complica il quadro. Andrebbero incoraggiate e valorizzate per quello che sono: una risorsa.
È un problema culturale gravissimo. Un’indagine promossa dal Coordinamento Donne della Cisl Fvg rivela che una donna su 5 (19%) ammette di aver rinunciato a fare figli, e a occuparsi direttamente dei familiari, per conservare il posto di lavoro e mantenere il livello retributivo raggiunto. Per contro, esistono un milione di madri lavoratrici sole: sette su dieci hanno tra i 45 e 64 anni, registra il Cnel; il 12% è “straniera”; il 25% possiede un basso titolo di studio; e quasi il 20% è impegnato con un part time involontario per lo più in alberghi, ristorazione, servizi, dunque in condizioni di fragilità e di rischio personale. La situazione dovrebbe essere corretta con iniziative sulla flessibilità, come strumento utile di conciliazione del lavoro col privato, e con una maggiore attenzione per l’assistenza di figli e familiari, da misure di welfare aziendale e lavoro a distanza.
Qualcosa si è fatto, ma non è abbastanza. Le statistiche dimostrano che nei paesi del Nord Europa, dove la natalità è difesa, le retribuzioni e opportunità delle donne erano/sono più alte. I grafici sono interessanti, perché dimostrano come, dopo un periodo di flessione nell’arco della vita coincidente con la/le maternità, la linea dell’occupazione e della retribuzione risale repentinamente. Mentre in Italia si inabissa.
La risposta richiede una strategia ad ampio respiro che spinga in tre direzioni:
1. Aumento dei servizi
2. Rispetto della diversità sul lavoro
3. Corretta ed equa divisione dei compiti e delle responsabilità famigliari.
Occorrono fondi veri e iniziative a largo raggio. La retribuzione e le opportunità seguiranno naturalmente. In tutto il mondo occidentale è andata così. Non si vede perché l’Italia dovrebbe fare differenza.