Il disagio comincia quando non riesci a trovare il tuo posto in un luogo o in una circostanza, quando le aspettative sono tradite dalla realtà. È difficile da gestire nel privato ed è peggio se si deve misurare con un “pubblico”, e una società, che non sempre fanno il loro dovere. Il tradimento delle aspirazioni professionali ha tutta la dimensione di un crimine sociale dalle conseguenze gravi. Colpisce più duro fra gli adolescenti e poi scende gradualmente con l’età. Le certezze sono inversamente proporzionali al procedere dell’anagrafe. Ma non sempre.
Non si sta bene se si è giovani e costretti a vivere in casa, cosa tristemente normale quando la Commissione europea rivela che tra il 2015 e il 2023 i prezzi delle abitazioni nell’UE sono aumentati in media del 48 %. Lasciare il nido, come studiare fuori sede nelle grandi città, e non solo, è diventato un incubo per molti. Gli studenti scoprono presto che una stanza arriva a costare mille euro e le residenze universitarie non rispondono alle esigenze: a fronte di circa 900mila universitari fuori sede, l’offerta strutturata è limitata a 50mila posti letto. Con i fondi del Pnrr, il governo ha stanziato 1,2 miliardi di euro e spera di aggiungere 60mila nuovi posti entro il 30 giugno 2026. Intanto bisogna arrangiarsi.
Casa dolce casa
È un’impresa trovare un alloggio anche per incominciare una vita indipendente, soprattutto nel mezzogiorno d’Europa. Nella media Ue, i giovani lasciano la casa dei genitori all’età di 26,3 anni (fonte Eurostat). Questo dato varia molto tra i Paesi dell’Ue, si va dai 21,4 anni della Finlandia ai 30 anni italiani, statistica in linea con Grecia e Spagna.
Il rapporto Eures 2024 sottolinea l’ovvio. Per affrancarsi dai genitori, condizione primaria è un lavoro stabile. Per crearsi una famiglia, quasi il 70% dei giovani indica il bisogno di una situazione economica adeguata. Che non c’è, per colpa dell’incertezza contrattuale e la tendenza diffusa a usare i percorsi di formazione come sostituto di impiego stabile. “Nel tempo delle libertà è più difficile desiderare”, nota lo psicanalista Massimo Recalcati, per il quale “oggi siamo anche più liberi di fare scelte e questo crea maggiori difficoltà di accesso alla vocazione del proprio desiderio”. Vero. E il contesto non aiuta.
Stipendi e stipendi
Lo snodo principale sono i bassi salari. La retribuzione lorda media annua dei giovani dipendenti del settore privato (15-34 anni) si è fermata nel 2022 a 15.616 euro, rispetto ai 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore (Fonte Eures). La disparità retributiva si manifesta anche nei diversi tipi di contratto: i giovani con contratti stabili percepiscono in media 20.431 euro, mentre gli assunti a termine e stagionali guadagnano rispettivamente 9.038 euro e 6.433 euro.
Nel settore pubblico le cose vanno meglio e questo fa riflettere. I giovani lavoratori (15-34 anni) hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro, una volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, nonostante un incremento nominale delle retribuzioni dal 2018, sia nel privato che nel pubblico, se si considera l’inflazione, si registra una diminuzione del potere d’acquisto generalizzata: la variazione negativa delle retribuzioni reali è pari all’1,7% nel privato e al 7,5% nell’amministrazione.
La grande fuga
In queste condizioni, i cervelli se ne vanno. Ventimila l’anno, in media, dopo la pandemia, quando il flusso è cresciuto del 281 per cento. Lo scenario si accompagna a una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35, evidenziando una condizione di incertezza e discontinuità lavorativa che affligge i più giovani. Secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, nei tredici anni dal 2011 al 2023, circa 550mila ragazze e ragazzi italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Se non bastasse, rispetto al resto d’Europa, l’Italia è il fanalino di coda per capacità di attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di europei, contro il 43% della Svizzera e il 32% della Spagna.
Sebbene la Commissione Ue si sforzi di coordinare il sostegno ai giovani, il nocciolo delle politiche pro cicliche resta nazionale. Detto che non c’è in genere nulla di male se si beneficia dei vantaggi offerti dalla libera circolazione nel mercato unico a dodici stelle, quello che non va è che spesso non ci sia alternativa. Chi parte è attratto da migliori salari, ma anche da sistemi di welfare più attenti al merito, alla maggiore mobilità salariale, e a opportunità che non ci sono da noi.
Il circolo vizioso
È una questione culturale. Chi assume deve investire sul futuro dell’azienda, non cercare di sfruttare un giovane con condizioni capestro. Si cresce insieme, sennò il sistema non gira. Poi c’è il nodo del governo dell’economia. Aiuterebbero incentivi fiscali che facilitino le assunzioni e tagli di imposta che agevolino la stabilità del posto di lavoro. Si richiede inoltre un migliore rapporto fra scuola e imprese, una formazione di qualità e continua che consenta di restare all’altezza di uno scenario economico che cambia vorticosamente. Gli incentivi al rientro non hanno dimostrato di essere efficaci. Il salario non può essere trascurato. Serve a combattere tanto il disagio quanto la fuga all’estero che, si stima, dal 2011 ha fatto perdere 134 miliardi al Paese. Una cifra mostruosa. Ma è solo una parte della ricchezza buttata dalla cattiva gestione dei giovani e del loro talento.