IL FESTIVAL, CANTIERE DELLA PACE PERPETUA
29 Maggio 2025

Siamo finiti in un “momento Kant”. Attraversiamo la stagione in cui bisogna saper restare immobili e imperturbabili di fronte al tempo, conservando una fede incrollabile nei pensieri di sempre. “Il passato non passa, semmai si eclissa”, ha scritto il filosofo di Königsberg (leggi Kaliningrad), convinto che “la pace perpetua richieda di saper guardare oltre le tempeste della Storia”, ovvero “saper pensare incessantemente a quel che è e sarà sempre”. Qui siamo. Nell’onda terribile, e potenzialmente fatale, che minaccia ciò che è e ciò che è stato. Siamo costretti a essere protagonisti per non soccombere. Fermi e pronti ad agire.
Banalmente, bisogna evitare di fare l’onda, recuperando il necessario senso di urgenza per non farsi buttare fuori pista da eventi terribili e fatali. Soprattutto, bisogna industriarsi a capire un 2025 che ha tutte le dimensioni della tempesta perfetta e che, salvo miracoli difficili da realizzare, può compromettere in modo brutale gli anni che verranno. Servono attenzione, consapevolezza e una generosa dose di coraggio.
Abbiamo alle porte di casa due guerre che non finiranno presto, due conflitti che hanno generato distruzione e sparso i semi di un odio quasi impossibile da curare.
Cinque anni fa, la pandemia del Coronavirus ha messo il Pianeta al tappeto e, dopo il rimbalzo della guarigione diffusa favorita dai vaccini, l’economia globale aveva preso faticosamente a rimettersi sulla strada di una crescita più che accettabile.
La Cina continuava la sua corsa, l’America avanzava a passo rapido eppure incerto, l’Europa appariva stanca e bisognosa di riforme, pur essendo candidata ad essere ancora il posto migliore del mondo dove sia concesso di vivere, nonostante le pulsioni sovraniste che – in nome di un’età dell’oro che non c’è mai stata – hanno convinto una parte crescente dell’opinione pubblica che Bruxelles è la causa di tutti i mali.
I governi conservatori, quelli che chiamano “Nazione” il loro “Stato”, hanno lavorato sugli alibi prima che sulle soluzioni. Poi è arrivato lui. The Donald. L’immobiliarista newyorkese biondo. Il presidente Trump. Il re volubile. E l’economia globale, coi suoi chiari pregi e i manifesti difetti, ha cominciato a correre sull’orlo del precipizio.
L’esito è che gli interrogativi sono cresciuti, come l’impellenza delle risposte. L’operazione commerciale speciale della Casa Bianca ha fatto saltare gli schemi multilaterali con l’obiettivo di riorganizzare le relazioni sulla base di due principali blocchi politici ed economici, due aree d’influenza dominanti, gli Stati Uniti e la Cina.
L’incertezza guida i nostri giorni e amplifica le diseguaglianze economiche, sociali e culturali. I ricchi hanno sempre di più, i poveri sempre di meno. I nazionalisti proclamano di essere la risposta, ma bisogna sempre ricordare le parole del presidente francese François Mitterrand, nel suo ultimo discorso europeo, quando ribadiva che “il nazionalismo è guerra”. Chiedere a Putin per credere.
La nostra società ha bisogno di manutenzione per cavalcare le transizioni inevitabili, quella tecnologica e quella climatica. Sulla ruota della crescita spuntano continuamente nuove sfide, a cominciare dall’intelligenza artificiale, per alcuni panacea, per altri dramma, probabilmente uno strumento utile che bisogna imparare ad usare con nervi saldi.
Viviamo una crisi demografica che pone le radici anche nella precarietà del lavoro e nelle crisi diffuse. Le questioni di genere sono tutte aperte. La mappa delle relazioni terrestri si sta riscrivendo, col sino-trumpismo che sogna soltanto una grande sfida bilaterale e le altre democrazie – Europa in testa – che invocano un maggiore bilanciamento fra i poteri e le ambizioni.
È necessario ridare fiducia ai giovani, rifondare la capacità di guardare avanti che loro credono sia stata bruciata dai boomer. Erano anni che il mondo non era un cantiere così instabile e aperto, così insanguinato e così a rischio. Se davvero la pace perpetua impone di guardare oltre le tempeste della Storia, allora è il tempo di non avere paura e di restare fermi per ragionare sul da farsi. Per questo gli uomini si trovano insieme. Per parlarsi, ascoltarsi, e capire. Questo è l’obiettivo del Festival Internazionale dell’Economia, dove economia diventa più che mai la scienza del fare ordine in casa, nello spazio che è nostro, scavallando la difficoltà di capire quale sia davvero, questo ordine, oggi. La risposta può venire dalla volontà di animare confronti, studiare le cause, disegnare le soluzioni, provare a stimolare delle conclusioni. Una piccola goccia nel mare, forse. Ma ogni mare è fatto di gocce. E il mare non rifiuta alcun fiume.